
Il bambù è una pianta che cresce molto rapidamente (si veda la progressione nella foto) e necessita di poche cure.
Questo arbusto, originario del continente asiatico, è diventato da qualche tempo nel nostro paese la speranza di molti agricoltori che con le coltivazioni tradizionali non riescono a ottenere ricavi sufficienti.
La redditività del bambù è molto elevata (almeno per il momento, quando la concorrenza è ancora limitata), poiché se ne possono vendere sia i germogli (che sono commestibili), sia le canne, dai molteplici utilizzi, in primis quelli per l’industria del mobile e dell’arredamento, ma anche per il settore tessile e quello della cosmesi.
Tra le specie con maggiori potenzialità annoveriamo la Phyllostachye edulis, un bambù gigante selezionato in Cina. Le piantine devono essere piantate nella stagione autunnale e protette con pacciamatura di fieno. Nella primavera successiva cresceranno di 1-2 metri producendo i primi germogli che spuntano dal terreno grazie ai rizomi che si espandono. L’irrigazione può avvenire con impianti a goccia o a spruzzo. Dopo tre anni si possono iniziare a tagliare i germogli (circa il 70% di quelli nuovi), mentre per le canne servono 5 anni (ogni anno se ne può tagliare il 30%).
Quali sono i vantaggi della coltura del bambù?
Oltre alla crescita rapida, non sono necessarie cure particolari, soprattutto una volta passati i primi tre anni dall’impianto. Il bambuseto adulto, infatti si pacciama da solo con le foglie secche, che mantengono l’umidità nel terreno. Le cure da prestare si limitano a irrigazione e concimazione. Inoltre il bambù gigante non ha parassiti naturali e non ha bisogno di agrofarmaci di alcun tipo.
Fin qui i pro della coltivazione del bambù.
Quali sono gli svantaggi della coltivazione del bambù?
Se è vero che la redditività massima si raggiunge intorno all’ottavo anno, occorre calcolare che i primi tre anni sono improduttivi. In secondo luogo non esistono macchinari per la piantumazione o la raccolta del bambù: sia i germogli che le canne devono essere tagliati a mano.
Il bambù gigante risulta inoltre un pianta difficile da estirpare, nel senso che rizomi continuano a gettare polloni e tendono ad espandersi nei terreni vicini.
Per ovviare all’inconveniente occorre un fosso intorno al campo profondo dai 60 agli 80 centimetri. Quando si vuole cambiare la coltura sul proprio campo sarà necessario preventivare una lotta con i rizomi, che si effettua tagliando tutte le canne e i germogli a ogni primavera finché i rizomi non muoiono.
Tutto deve essere distrutto meccanicamente e occorre impiegare grosse quantità di disseccante.
Bambù gigante: prestazioni eccezionali per una sorta di acciaio vegetale

Il bambù gigante è una pianta di cui sentiremo sempre più parlare in futuro, per le sue straordinarie caratteristiche di ecosostenibilità. Pensate che, se posta nelle condizioni perfette, è capace di crescere fino a 1 metro al giorno: praticamente a vista d’occhio! E, anche se queste non sussistono, la pianta comunque in due mesi raggiunge i 6-8 metri di altezza.
La canna del bambù gigante è molto alta, ma molliccia. Se però il suolo circostante viene fertilizzato con digestato proveniente da impianti per la produzione del biogas, la pianta assorbe nitrati che hanno due conseguenze:
1. la “costringono” ad assorbire maggiore quantità di CO2 dall’atmosfera
2. fanno diventare più dura e spessa la scorza della canna, che acquista così caratteristiche meccaniche ben superiori a quelle del legno, di fatto paragonabili a quelle dell’acciaio, ma con un peso molto minore.
In altre parole, forzando l’alimentazione della pianta, non soltanto si ripulisce l’atmosfera dall’anidride carbonica in eccesso, ma si ottiene un materiale adatto a sostituire il metallo, la fibra di carbonio e la fibra di vetro. Un materiale che regge ottimamente gli sforzi e che quindi è adatto per la bioedilizia.
Con un ettaro di bambù gigante si producono poi 100 tonnellate di biomassa utilizzabile per produrre energia: per produrne altrettanta con il legno bisognerebbe abbattere 20 ettari di foresta tropicale!
La fibra di bambù: delicata sulla pelle e gentile con l’ambiente
Tra le fibre tessili più apprezzate da chi ha a cuore l’ambiente c’è sicuramente il bambù, una pianta dalle proprietà eccezionali. Innanzi tutto è estremamente morbida, con una mano del tutto paragonabile a quella della seta. Poi è resistente: ben più della fibra di cotone, per esempio. I tessuti di fibra di bambù sono inoltre naturalmente anti-microbici e altamente traspiranti: in parole povere, non hanno la tendenza a lasciare accumulare umidità e sudore sulla pelle, con la sgradevole formazione di odori che ne consegue.
Anche la coltivazione del bambù è altamente sostenibile dal punto di vista ambientale: la pianta raggiunge la maturità in circa quattro anni e può vivere anche un centinaio di anni. Gli arbusti sono in grado di crescere in pochi centimetri di terra e in condizioni atmosferiche estreme, avendo limitatissimo bisogno di irrigazione. Le proprietà antibatteriche della pianta rendono superfluo l’uso di fertilizzanti e pesticidi; anzi, le coltivazioni migliorano la qualità del terreno in cui sono poste. Pensate inoltre che le piante di bambù consumano quattro volte più C02 degli alberi e producono il 35% di ossigeno in più!
Fino a non molto tempo fa preoccupava il fatto che i metodi di lavorazione della fibra richiedessero l’impiego di soda caustica e solfuro di carbonio, sostanze altamente dannose sia per gli operatori tessili che per l’ambiente. Ultimamente sono però stati messi a punto dei metodi di lavorazione ‘gentili’ basati su agenti ed enzimi non tossici e riutilizzabili più volte. Così oggi la fibra di bambù è del tutto conforme all’OekoTex Standard 100.